Il Giardino Incantato

monetgiardinoSe ne stava appoggiato alla ringhiera di ferro battuto stringendola con le mani sino a farsi venire le dita livide mentre guardava la ruspa che sbuffando potente affondava nel terreno la sua pala, sollevando erba, piante e chissà quant’altro senza far distinzione, portando quel misto di vegetazione e polvere ad ammassarsi al fondo del campo.

Lui quasi accompagnando con il movimento della testa quei colpi potenti della benna, borbottava qualcosa che non riuscivo ad intendere, ma mi ricordava un grido profondo e sommesso di chi non poteva farci nulla se non restare immobile a guardare.

Si accorse di me e fissandomi solo per un momento iniziò ad indicarmi un punto dove il terreno non era stato ancora smembrato ed una rampicante dai fiori bianchi cercava di sfuggire a quello scempio rifugiandosi tra i rami di un pino rigoglioso e fiero.

“Ecco, li vede, proprio li” mi disse quasi a riprendere un discorso appena interrotto anche se non ci eravamo mai conosciuti. “Li avevamo piantato un lillà, profumato. Quello era il nostro angolo preferito; sul prato crescevano le violette ed era una meraviglia sdraiarsi in primavera. Non c’erano formiche perché un’erba spontanea di cui mi sfugge il nome le teneva lontane, con il suo odore pungente. Ma le viole profumavano l’aria, ovunque, e sdraiarsi con lei era un incanto.

I suoi capelli si adagiavano sul manto verde ed i suoi occhi sembravano fiori, i più belli. Mi sorrideva ed io ero felice, avevo dinnanzi a me tutto ciò che potevo desiderare.

Eravamo così belli, così giovani. Quando facevamo all’amore i nostri corpi disegnavano figure che gli alberi cercavano di imitare e le api si chetavano, soffermandosi sui fiori per essere certe di fecondarne gli stami. I suoi baci erano senza fine e la mia anima si nutriva di loro. Non avremmo mai finito di baciarci e spesso restavamo li delle ore, sino a quando il sole andava via e lasciava posto alle tenebre. Allora aspettavamo che la notte calasse e le lucciole, accorgendosi del nostro amore, accorrevano illuminando l’oscurità. Come in un universo in miniatura quell’angolo si riempiva di stelle e noi si stava abbracciati ad ammirare quel miracolo della natura che si ripeteva ogni volta. Una notte, poi, ci siamo addormentati uno nelle braccia dell’altro ed il sole ci sorprese ancora li. Ne era felice. Ora vedi, stanno spazzando via tutto, costruiranno un giardino, panchine e giochi, forse un laghetto con qualche pesce rosso. Tutto ordinato, pulito. Nulla di spontaneo. Servirà a molti ma nessuno sarà veramente felice”. Dicendo questo s’incamminò stancamente verso la strada, poco lontana. “Ma che storia meravigliosa, quando è stato tutto questo?” gli chiesi un po’ per cortesia, un po’ per curiosità. “Ieri, mi rispose, soltanto ieri eravamo ancora la”.

L’avevo ancora una volta incontrato quel uomo senza spazio e senza tempo innamorato della donna dagli occhi di mare.

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