Lilly

Lilly era una biondina con gli occhi color mandorla ed un ciuffo chiaro che le scendeva tra gli
occhi.
Tutte le volte che arrivavamo in porto con la nave ci aspettava in banchina, camminando da un
estremo all’altro sino a quando gli ormeggi non erano saldamente fissati alle bitte e la passerella non
era stata calata a terra.
Allora si metteva davanti al primo scalino ad aspettare il marinaio di guardia per salutarlo con
tutto l’affetto di cui era capace ma di salire a bordo non se ne parlava nemmeno, da quando il
comandante in modo assolutamente perentorio aveva detto, urlando contro di lei: “Su questa nave
non salirà mai nessun cane”.
Ma lei paziente ci aspettava ogni volta, scodinzolando festosa come solo i cani sanno fare e per
tutti noi era il miglior benvenuto che potessimo immaginare.
Il cuoco aveva conservato i ritagli della carne avanzati in navigazione e lei, con impaziente attesa,
agitandosi annuiva, mentre lui li trasferiva dalla carta alla ciotola che gli avevamo riservato.
Poi, una volta sazia, si sedeva con la coda simile ad un piumino elegantemente accostata su di un
fianco e ci guardava uno ad uno, mentre armeggiavamo con le manovre di poppa, quasi a farci
intendere che ci conosceva tutti, con un saluto.
Un pomeriggio d’estate l’eccitazione a bordo era a mille, un gigantesco topone si era abusivamente
imbarcato ed era l’oggetto di una caccia serrata con bastoni e mazze improvvisate.
Dopo alcuni volteggi sulle balaustre ed una fuga a testa sotto lunga una grossa cima, il ratto si
fiondò giù per la passerella cercando scampo sulla banchina. Ma Lilly attenta e veloce come un
cobra fece uno scatto repentino azzannandolo al collo, intraprendendo una lotta del cui risultato la
sorte non era certa.
Capriole, polvere sollevata, squittii e lamenti del cane; con un colpo da maestro la cagnetta spezzò
il collo al povero topo che inerte si accasciò a terra.
Lilly lo annusò con una certa circospezione, quasi temesse un rigurgito di energia dall’animale e,
sicura della sua morte, la pose ai piedi della passerella quasi come offerta di riconoscenza.
Poi ci guardò dicendoci con lo sguardo, “Ecco, si fa così”.
L’applauso fu generale, lo spettacolo fu insolito ed eccitante in quel caldo pomeriggio di luglio e
lo sguardo di tutti i marinai andarono verso il capitano che dall’alto della tuga aveva anche lui
seguito l’incontro.
Ci fu un momento di silenzio, dove mille pensieri senza parole si intrecciarono ed il sorriso del
buon Aricò, integerrimo comandante,  fu un assenso che tutti aspettavano, Lilly per prima.
“Fatela salire, se lo è meritato”.
Quasi capisse il linguaggio degli uomini meglio degli uomini stessi il cane sali a bordo,
prendendosi le carezze di tutti i marinai, felice come mai era stata nella sua esistenza di cane
randagio.
Passò quella passerella per la prima volta quasi fosse una clandestina ma una volta a bordo
divenne una regina. Trovò rifugio dietro alcune cime arrotolate ed imparò subito che a bordo era
vietato sporcare. Durante le navigazioni aveva un angolo con sabbia e cartoni e mai, neanche una
volta, tradì quel patto.
Quando capiva che presto si sarebbe lasciato il porto scendeva a terra, quasi avesse amici da
salutare e poi rientrava rapida prendendo posto a prua, vicino all’argano dove la visuale era ottima.
Fiutava il vento tenendo gli occhi socchiusi, quella brezza di mare portava al suo naso infallibile
profumi lontani.
Poi una volta in alto mare si accucciava nel suo rifugio aspettando l’ora del pasto. I mesi
trascorsero e la sua presenza a bordo divenne talmente importante che il comandante stesso si
sincerava ogni volta che fosse salita prima di salpare l’ancora.
Una domenica di Pasqua il mare ruggiva con tutta la forza che il vento di maestrale gli aveva
donato e rientrare da Ustica verso Messina sembrava un’impresa impossibile.
Il comandante vigilava personalmente la rotta in plancia correggendo continuamente i gesti del
timoniere.
Lilly si contorceva a poppa quasi imitando alcuni marinai a cui il mare regalava solo tormenti. A
nessuno di noi venne in mente che in realtà lei non pativa il mal di mare ma stava male a causa di
alcuni parassiti che per i cani spesso sono letali.
E tra le cure di tanti e le lacrime di molti la piccola Lilly regalò l’ultimo leccata alla mano del
marò che piangendo le carezzava il muso.
Mentre le onde cercavano di squassare la prora gli ultimi spasmi scossero quel corpo a cui
nessuno di noi aveva mancato di dare una carezza.
A ridosso del capo il mare si chetò in parte e ci stringemmo attorno alla povera creatura in cui
ogni nostro cuore aveva riposto un po’ di se.
Come in un film in cui scorrono i titoli di coda nelle nostre menti si presentarono le immagini
felici delle sue corse in banchina, le sere a chiacchierare a poppa carezzandola a pancia all’aria, le
sue cacce ad eventuali emuli del primo topo finito male.
Fu Michele, il marò cuoco che venne portando con sé una piccola e sfilacciata bandiera tricolore.
Senza una parola avvolse Lilly con quel cencio legandola con una piccola sagola. Poi la sollevò,
guardando verso il nostromo. Questi estrasse il fischietto di ordinanza e solennemente salutò quella
creatura per l’ultima volta, mentre cadeva a mare avvolta in una vecchia bandiera quasi fosse un
eroe.
Trattenere le lacrime non riuscì a nessuno ma questo non fu un problema, in mezzo al mare
nessuno sapeva.
Qualcuno, nei racconti che seguirono in porto, giurò di aver intravisto luccicare gli occhi del
comandante, che da quella sera volle una foto di Lilly appesa in mensa ufficiali.

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