MARIKA & Marica

Le-amiche,-acriclico-su-tavola,cm144x84Erano sempre felici di andare a quel Giapponese, si erano conosciute li esattamente un anno prima;  Marika era in compagnia di una collega di lavoro, una di quelle che non vorresti mai incontrare ma che il destino le aveva affidato quasi fosse una prova generale per la beatificazione. Bacchettona come pochi, formale e scontata. Eppure avrebbe dovuto collaborare con lei per altri sei mesi e la cosa che le sembrò più funzionale per un sopportabile rapporto quotidiano fu invitarla a cena proprio in quel ristorante così insolito per una noiosissima contabile come le era parsa; una botta di vita, una trasgressione mai provata. Le avrebbe consigliato qualche assaggio di sashimi azzardato, un po’ di salsa washabi piccantissima e della birra Asashi per spegnere il fuoco. C’era qualcosa di vagamente sadico e provocante nel suo intento, un modo per metterla alla prova, distoglierla dal controllo rigido con cui ogni giorno la vedeva salir le scale dell’ufficio. Non le piaceva per niente, anche se sotto quel tailleur senza tinta sicuramente vivevano emozioni, sussulti. Non le aveva ancora chiesto se era sposata o se aveva un ragazzo, un compagno. Non portava anelli, non portava nessun sorriso con sé che parlasse d’amore.  Voleva prenderla di sorpresa, stupirla, provocarla ed esserne in qualche modo padrona. Lasciò scegliere a lei il posto ove sedersi ed aspettò che lei si accomodasse, come fanno gli uomini. Poi si sedette, girando lo sguardo attorno, verso gli altri tavoli. Fu lì che incrociò gli occhi di Marica, capelli corti a spazzola, anche meno, piccolo seno avvolto da una canottiera grigia ed un piercing con il diamante che luccicava al lato della bocca. Era in compagnia di amici, forse colleghi di lavoro, chiassosi ma educati, divertiti. Anche lei sorrideva delle battute, ma sembrava un po’ disattenta, distratta. Si guardava attorno. Fissava una biondina dai capelli lisci che raccontava al suo ragazzo delle vacanze appena trascorse. Forse ne ammirava gli occhi veloci, la erre leggermente calcata che la rendeva molto interessante o semplicemente quel ragazzo dagli occhi neri e le labbra calde, belle da baciare. Marika, mentre ordinava per sé e per la collega un Vascello Incantato, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e sentì il cuore batterle forte. Parlava con Marisa di un argomento scontato, il poco stipendio e le tante spese da affrontare, ma i suoi occhi sfuggivano alla ricerca di quelli di Marica. S’innervosiva, la vedeva distratta, attratta dalle mani gesticolanti della biondina, non poteva sopportarlo. Si, lo sapeva, il suo era un carattere autoritario, con chiunque e da subito. Per questo era insopportabile a molti, soprattutto agli uomini. Non accettava di fare la smorfiosa o l’ingenua, non sopportava che qualcuno dicesse “Voi donne…”. Non reggeva assolutamente che chiunque le potesse dire cosa fare o dove andare, si allontanava in malo modo. Era successo con il suo primo ragazzo, quando scesa dal motorino in aperta campagna gli gridò di andarsene, che sarebbe tornata a casa a piedi e cominciò a prenderne a calci il parafango e le ruote, sinché lui scappò imprecando. Se una persona la interessava immediatamente si sentiva padrona del suo essere, se qualcosa non le piaceva la scacciava in malo modo, chiunque fosse. Ed ora era gelosa, si, gelosa di quella sconosciuta dai capelli quasi rasi che distrattamente la guardava ma che era attirata da altro. Ne intercettò lo sguardo e come una calamita la tenne a sé, guidandone le intenzioni lentamente. Anche Marisa, ancora alle prese con il sushi ed i bastoncini, si accorse che ormai Marika non era più al suo tavolo. Aveva cacciato una preda, la sua preda, o forse era rimasta vittima del suo sogno, l’amore cercato invano.  Ma l’infinito e complesso linguaggio degli occhi aveva iniziato un discorso che nulla avrebbe potuto fermare. Quando vide i ragazzi alzarsi e capì che sarebbero usciti in un attimo, si alzò senza preavviso per interferire nel cammino di Marica e parandosi di fronte a lei la fissò negli occhi. Le labbra vicine, un leggero tremito delle mani di Marica tradirono la sua emozione. Bastò questo, Marika sapeva che sarebbe stata sua. Stringendole la mano e fingendo una loro conoscenza le passò un biglietto con un numero di telefono, il suo. “Chiamami quando vuoi…” disse con voce cordiale ma attraverso lo sguardo passò un altro messaggio. Imperativo, dominante e Marica capì di non potersi sottrarre a quella storia. La notte stessa il telefono squillò e con la voce assonnata Marika rispose con un “Pronto…” impastato ma immediatamente balzò a sedere sul letto. Dall’altro capo la voce sottile e piangente di quella creatura dai capelli corti implorava aiuto; i suoi sogni, la paura, l’ansia avevano avuto un’altra volta la meglio e non c’era pastiglia che potesse calmarla. Marika si vestì in un attimo, afferrò il portafoglio e le chiavi dell’auto mettendosi le scarpe scendendo le scale. In un attimo fù da lei, quasi conoscesse la strada, già sapendo in cuor suo che l’avrebbe percorsa mille volte. Bussò piano, tre, quattro volte. Non voleva che i vicini sentissero. La porta era aperta e lei entrò nel buio corridoio guidata dal raggio di luce che l’abat-jour dai colori del cielo versava nella stanza. Marica era seduta sul letto, avvolta nel lenzuolo con le braccia che stringevano le gambe ed il viso appoggiato alle ginocchia. Qualche segno nero, trucco colato con le lacrime, disegnava insoliti ideogrammi sulle lenzuola. Forse un primo messaggio d’amore, la celebrazione del loro incontro al ristorante giapponese, la firma del destino. Marika si sedette al suo fianco e la abbracciò stringendola piano. Le sua braccia erano forti e tornite, la palestra era la sua passione e quella forza da maschio era addolcita e smussata dalla sua natura femminile. Scostò il lenzuolo per avvolgerla meglio ed il tepore del corpo di Marica si diffuse in ogni dove. Quella sensazione di amore e desiderio ebbe il sopravvento e rimasero assieme tutta la notte a scacciare i fantasmi, scambiarsi baci, morire di passione. Era trascorso un anno, l’incontro tra un bosco in fiamme, una terra calda ed assolata, una spiaggia di sassi roventi, Marika, e il mare trasparente e cristallino, il vento  tiepido dell’estate, il grano ancora acerbo, Marica. Si erano scatenati incendi, piogge infinite, tempeste e momenti di quiete. Ora, mentre lei padrona apriva e teneva aperta la porta del ristorante giapponese, la sua giovane compagna entrava guardando di sfuggita verso i vari tavoli, alla ricerca di un posto e di uno sguardo, di mille sguardi. Era il loro gioco, il gioco del loro incontro.  Chi era padrone, chi era schiavo? Marika attenta ed autoritaria, quella che sceglieva le portate e decideva il vino o Marica, timida e cerbiatta che con uno sguardo poteva scatenare ogni gelosia. Chi era prigioniera dei propri sentimenti, chi era sopra e chi era sotto. Mentre le forti mandibole di Marika gustavano il cibo saporito, il suo respiro era intenso e con gli occhi non perdeva nessun movimento della sua compagna, allo stesso tempo Marica assaporava piccoli bocconi sfiorando appena gli intingoli gustosi sul vassoio. I loro occhi, lo sguardo, che più di ogni parola le avevano legate, ora danzavano nel rito del cibo. Sapori, profumi, languore e desiderio, ogni cosa ed ogni movimento aveva un significato. Era sempre così tra di loro, dal primo sguardo che si erano scambiate quella sera di fine estate e pur attraversandosi l’un l’altra in infinite notti di passione sapevano ricondurre all’origine il loro incontro, ogni volta che sedendosi una di fronte all’altra, davano inizio al rito del cibo. In quel momento tutto era possibile, sarebbe potuto passare il vento e portare via il fragile fuscello, oppure la luce della coscienza ed il desiderio di autorità portare altrove il nobile guerriero che animava Marika. Giocavano, nutrendosi, la loro partita a scacchi, il culto dello spirito e del corpo. Marika temeva quegli sguardi intensi e rapidi che la sua compagna lasciava sfuggire verso i tavoli vicini, Marica temeva l’ira irruenta e potente del guerriero che aveva di fronte ed il pensiero di affrontare i fantasmi della notte da sola, un’altra volta. Entrambe padrone, entrambe schiave. Legate da un filo indissolubile intrecciato in una sola sera, mistero del destino e della storia del mondo.

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