Uomo in Mare

Uomo in mareAvevamo fatto quell’esercitazione decine di volte, sia con il mare calmo che in mezzo ad una buriana, quasi ad averne noia. Eppure quel venerdì pomeriggio sentire il fischio concitato del nostromo alternato al fatidico urlo: “Uomo in mare, uomo in mare…” fece venire a tutti la pelle d’oca.
A me venne in mente quella terribile scena di Master&Command in cui al povero naufrago, caduto dal bordo di dritta, il comandante pietoso fece lanciare qualche tavola di legno a bagno, in modo da offrire l’ultima ed unica occasione di sopravvivenza al malcapitato.
Un tempo i galeoni non avevano la manovrabilità delle imbarcazioni odierne e la vita sicuramente valeva meno. Cascare a mare era quasi sempre causa di morte certa, nessun comandante avrebbe arrestato la propria nave per soccorrere un qualsiasi marinaio. E spesso era meglio affondare subito ed annegare piuttosto che rimanere appesi ad un asse galleggiando in attesa che i gabbiani, terribili e crudeli, cavassero gli occhi al moribondo.
In effetti al momento dell’ingaggio non era richiesto di saper nuotare. Vita dura andar per mare un tempo; la vita valeva davvero niente.
Ben altre emozioni attraversarono la mente del nostro comandante mentre, precipitandosi fuori dalla plancia, apostrofò il nostromo ordinando la corretta manovra di accostamento ed urlò a tutti di scrutare tra le onde….
“Chi è caduto? Chi è a mare…” chiese concitatamente e dalla sua voce, vagamente stridula, traspariva tutta la sua angoscia ed il terrore per l’accaduto. Il nostromo correndo a prua, gesticolando, quasi piangendo, urlò il nome di Vincenzo al vento, più volte. Disperato, urlava e correva avanti ed indietro. E’ incredibile come un qualsiasi oggetto gettato a mare si allontani dalla barca in modo repentino e se il mare è increspato lo si perda immediatamente di vista.
“L’ho visto cadere in mare con la coda dell’occhio, quasi un lampo. La sua tuta rossa, quella che usa sempre per il lavoro. Non un urlo, niente. Forse ha avuto un malore, mio Dio. Lo diceva che non si sentiva bene…” continuò così il sottoufficiale, non dandosi pace per l’accaduto.
Aveva negli occhi ancora il terrore per quel lampo rosso, quell’immagine vista di sfuggita ma chiara, Vincenzo non era a bordo, non sapevamo neanche se sapesse nuotare; forse i flutti avevano già avuto il sopravvento su di lui e quello che tutti scongiuravamo era già avvenuto. Il radiotelegrafista immediatamente inviò un s.o.s. alla capitaneria ed in pochi minuti tutto l’equipaggio fu all’erta. Fatto sta che di Vincenzo non c’era traccia.
Binocolo alla mano più d’uno si scrutava tra i flutti; sembrava incredibile, il mare pareva lo avesse inghiottito. Dalla capitaneria arrivò la conferma che una vedetta della Finanza, presente in zona, si stava dirigendo a tutta velocità verso di noi. Ogni attimo era di vitale importanza. Venne calata un scialuppa a mare e un sergente con due marinai si diressero verso sud mentre noi si tornò sulla rotta opposta a quella tenuta sino a quel momento. Ogni minuto che si aggiungeva a quelli trascorsi portava nuova angoscia e per molti, colpa dello stress oppure della stanchezza, la rassegnazione cominciava ad avere la meglio sulla speranza.
Ma non il comandante, esperto marinaio, che ben sapeva di come la speranza sia l’ultima a morire.
“Laggiù, laggiù alle ore nove (a sinistra, perpendicolare al bordo) c’è qualcosa che galleggia di rosso…” gridò il marò di vedetta e subito seguì l’ordine del comandante di cambiare rotta e dirigersi sul bersaglio appena avvistato.
Ci portammo quasi tutti verso prora, nella speranza di essere i primi ad avvistare Vincenzo provando delusione e terrore quando ci accorgemmo che quella era sì la sua tuta, ma senza lui dentro.
“Mizzega, la mia tuta, pigghiati lu mezzu marinaiu che ‘a recuperammu” gridò una voce inconfondibile. Ci voltammo tutti di scatto, era proprio lui, il nostro naufrago che in realtà non era caduto a mare, ma era bello asciutto e sorridente.
“Ma che minchia ciavite da guadarmi accussì?” disse.
“Ma dove eri, maledettissimo cunnuto…” tuonò il comandante, a metà tra il sollevato per lo scampato pericolo e furente con Vincenzo per la breve ma ingiustificata assenza.
“Comandante, mi ci è venuto uno smottamento all’intestino e suggnu andato in tu ciesso”. Fu un attimo, poi tutti a battere le mani. Qualcuno aveva gli occhi lucidi. Era tutto così semplice; Vincenzo stava lavorando alle cime, quando un fulminante dolore intestinale lo obbligò a correre in bagno. La giacca della sua tuta, appoggiata ad un bancale, venne rubata dal vento ed il nostromo, forse in ansia per motivi suoi personali che non ci è dato di sapere, aveva confuso i rosso della tuta con Vincenzo al gran completo. Lui, reo di essersi allontanato dal suo posto di manovra senza chieder permesso, aveva completato l’opera mettendo tutti in una situazione paradossale.
E mentre lui, con la sua mossa repentina, aveva evitato il fastidioso inconveniente del “farsela addosso”, aveva fatto si che quella sorte toccò, metaforicamente, a tutti noi.

Lascia un commento